venerdì 2 luglio 2010

Cohousing - agitare prima dell'uso

Con l'incontro di sabato 26/6 sono emerse diverse idee interessanti, ho provato a riprenderne alcune e a mescolarle con riflessioni personali. Il prodotto, da agitare bene prima dell'uso, ve lo propongo qui di seguito.

Il cohousing è definibile come un nucleo sociale omogeneo, coordinato in un'organizzazione di vicinato. Rispetto ad un complesso abitativo comune può permettersi un maggiore livello di autonomia dalla città, disponendo di una serie di servizi gestiti autonomamente, in comune tra gli abitanti. Da alcuni di questi servizi, come l'auto produzione di energia elettrica o l'auto produzione di frutta, verdura e animali da cortile, può addirittura venire un reddito aggiuntivo, comunque sia in genere non manca l'impianto di cogenerazione centralizzato per produrre calore e energia elettrica, la lavanderia collettiva, l'orto, ma si può pensare anche ad un servizio di car sharing per ridurre il numero complessivo di automobili e dei costi connessi, e un servizio di baby sitter se il numero di bambini lo giustifica, saranno gli stessi abitanti a stabilire il livello di autonomia e autosufficienza e i servizi di cui dotarsi.

Dato che per molti anni siamo stati bombardati da messaggi che enfatizzano l'individualismo e il possesso di beni, in primo luogo la casa e l'auto quali mezzi di autoaffermazione, occorre uno sforzo notevole per superare le spinte individualiste. Attraverso lo strumento della progettazione partecipativa i futuri abitanti, coordinati da un architetto, definiscono il loro specifico, unico, sistema di cohousing a partire proprio dalle esigenze individuali, in questo modo ogni risultato sarà diverso dagli altri. Il presupposto è la costruzione di un'architettura dell'abitabilità, in cui gli aspetti qualitativi riguardano allo stesso tempo la qualità dell'edificio costruito e la qualità dei rapporti tra chi lo abita, perché la costruzione della coesione sociale è importante quanto la costruzione dei muri. Ma attraverso la progettazione partecipativa si vuole anche introdurre un certo grado di flessibilità e adattabilità in modo che la casa possa trasformarsi nel tempo accordandosi al mutare delle esigenze. Sarà la casa ad adattarsi alle esigenze degli abitanti, non gli abitanti ad adattarsi alla casa ridotta a prodotto di consumo di massa.

L'elemento base di ogni progetto di cohousing è lo spazio individuale, che non è il recinto individualista, ma l'esigenza di ogni persona, adulta o bambina, di veder riconosciuto un luogo che le è proprio e che le consenta di stabilire un rapporto paritario e di reciprocità con gli altri co-abitanti. Su questa base lo spazio individuale non è la stessa cosa dello spazio del nucleo famigliare, la famiglia, in quanto gruppo di individui attraversato da contraddizioni, non può essere considerata come un tutto unico al pari di un individuo. Lo spazio individuale è da considerare come un diritto inalienabile che vale per tutti e va garantito anche a chi non ha ancora voce per affermarsi, come i bambini più piccoli. La difficoltà sta però nel superare l'identificazione del proprio spazio individuale con una porzione di spazio delimitato e invalicabile, l'equilibrio tra privato e collettivo, tra individuale e comune è un qualcosa che deve potersi modificare nel tempo grazie ad un confronto continuo, aperto e senza pregiudizi … e faticoso. Nulla può essere scontato nella coabitazione, è sicuramente più facile chiudere il mondo all'esterno della propria abitazione e rintanarsi nell'individualismo spinto.

Le regole interne cercano un equilibrio tra individualità e autonomia dei singoli da un lato e la partecipazione e coesione di gruppo dall'altro. La costruzione di una comunità organica si fonda sulla collaborazione, non c'è delega ma solo assunzione di responsabilità, in altre parole i problemi di costruzione del cohousing, costruzione dei muri e della comunità, devono diventare esperienza diretta e viva dei partecipanti.

Il cohousing non raggiunge mai un equilibrio finale perfetto, pensare nei termini di un traguardo finale è già accettarne la morte, la costruzione della comunità precede e prosegue oltre la costruzione dei muri e si basa sulla accettazione della sfida posta dall'Altro. La dinamica del gruppo non è pianificabile, il livello di condivisione delle esperienze, soprattutto quando toccano le proprietà personali, l'abitazione, i muri, il giardino, le ciliege sull'albero, devono attraversare continuamente il momento della parola. Cento anni di psicoanalisi ci insegnano che anche all'interno della famiglia nulla è scontato e generazioni di avvocati possono raccontare di liti eterne tra vicini o tra fratelli. Se si vuole che il progetto di convivenza ravvicinata duri c'è un solo modo per comporre i conflitti il ricorso alla parola.

Il tema della proprietà del cohousing è un altro punto centrale. La costruzione cooperativa può prevedere, lo scioglimento della cooperativa una volta realizzata la casa e la suddivisione degli appartamenti e del giardino tra i partecipanti, che dunque diventano proprietari del loro pezzo di casa, esattamente identificato. Più interessante però è il superamento dell'identificazione della proprietà con il proprio pezzo di casa diventando proprietari di una quota del cohousing corrispondente alla quantità di spazio abitata. Il cohousing diventa allora una società, o una cooperativa, di cui tutti sono partecipi e proprietari sia degli spazi collettivi che dei muri nel loro complesso. Non ci sono controllori e controllati ma ogni partecipante si fa carico del buon funzionamento del complesso e della sua inviolabilità.

Il cohousing va visto quale nucleo sociale omogeneo, coordinato in un'organizzazione di vicinato che attraversa il quartiere e la città, e stabilisce con questi diversi livelli di organizzazione e di interazione. Ad esempio nelle città storiche l'organizzazione di vicinato, centrata sulla strada secondaria o la corte, esclude gli estranei senza assumere le forme minacciose delle mura e dei recinti. Per molti secoli è stato possibile controllare gli accessi ai quartieri senza bisogno di telecamere e cartelli minacciosi. Il passaggio da pubblico a semi pubblico o collettivo, a privato, fino allo spazio individuale è sottoposto ad una forma di controllo di vicinato, di riconoscimento dell'estraneo, che non viene escluso a priori ma nemmeno lasciato libero di circolare nelle zone collettive o entrare negli spazi privati.

Il confine del cohousing va pensato come contenitore della vita sociale interna e non come limite rispetto ad un fuori nemico che si vuole tenere distante. Lo straniero è prima di tutto ospite, ma la sua presenza e condotta segue le regole dell'ospitalità che la comunità ha inteso darsi.

Andrea

3 commenti:

  1. Grazie per una bellissima introduzione, spero che questo spazio ci permetterà di proseguire con il nostro progetto.

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  2. Grazie Andrea, davvero molto utile. Oggi ho visitato, con la dovuta calma, il terreno di Moruzzo: è davvero molto bello. Dietro al terreno agricolo c'è una parte di prato collinare che finisce in una cerchia di alberi che declinano verso Villalta. Davvero molto bello. La visuale dal terreno (verso la strada) è altrettanto valida. Invito chi può a darci un'occhiata. Nei prossimi giorni vorrei proporre un giro di post attraverso i quali ciascuno definisce una propria "idea" di co-housing. che dite?
    un caro saluto a tutti

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